La scorsa primavera, durante una delle nostre uscite alla scoperta della nostra terra, ci siamo trovati davanti un fatto che su due piedi ci ha alquanto colpiti e che, dopo una lunga meditazione, abbiamo deciso di riportare in pubblico.
Partiti da Pretara, dalle sorgenti del torrente Ruzzo, dopo una salita scoscesa di circa quaranta minuti, tra radici di alberi secolari, fango e rocce, siamo arrivati al cospetto dell’umile eremo di Santa Colomba, a 1234 metri d’altezza, dove si erge una piccola cappelletta ai piedi di una ben più alta e possente montagna: il Gran Sasso.
Una sgambata interessante per allenarsi, ma soprattutto per riunirsi e scoprire un luogo diventato nel corso dei secoli meta di pellegrinaggi. Incastonato in un paesaggio mozzafiato, il posto ha dato rifugio alla Santa durante le persecuzioni dei Cristiani, e sono molti i simboli, le testimonianze e le opere che parlano della sua vita qui. Sostando nei dintorni dell’eremo, infatti, abbiamo notato tra due rocce una base di cemento da cui si ergeva un’asse di legno in verticale. Curiosi della costruzione, è solo con più attenzione che abbiamo notato fra le sterpaglie un secondo asse malconcio. Eravamo davanti ad una piccola Croce erosa e spezzata dalle intemperie di quota, a cui rimaneva ancora attaccata una targhetta a firma di un gruppo di fedeli che anni addietro salirono in pellegrinaggio per tributare la loro devozione alla Santa.
Ciò che in pochi secondi ci ha lasciato tutti stupiti è come nessuno prima di quel momento si fosse prodigato per riqualificare quel simbolo Sacro che giaceva per terra, abbandonato a marcire. L’eremo in questione, è meta turistica molto frequentata, essendo anche uno dei punti di accesso alla direttissima per il Corno Grande. Prima e contemporaneamente a noi, infatti, altri gruppi sono passati di là ma nessuno, fra uno scatto al paesaggio e un selfie, ha prestato davvero attenzione a ciò che li circondasse.
D’altrocanto a noi è bastato un semplice scambio di sguardi per capire che si sarebbe dovuto riparare, nei limiti del possibile, al danno che era stato apportato alla Croce che avevamo davanti. Nonostante fossimo sforniti del materiale necessario per un adeguato restauro, non ci siamo tirati indietro. Per rimettere in piedi – o, per meglio dire, in verticale – quella Croce, bastava la volontà di una fede viva, della completa adesione ad una visione sacra della vita che si manifesta in ogni momento.
Con l’aiuto di un sasso e qualche chiodo arrugginito, alla fine il compito più grosso è stato portato a termine. Diciamo questo non per vantarci e invitare all’imitazione di fenomeni come Macgyver, ma per riflettere su quanto infinite siano le possibilità di agire correttamente nel mondo che ci circonda. Persino andando in montagna e tenendo (come si dovrebbe) gli occhi e il cuore ben aperti, è possibile trovare una sfida da affrontare.
Se questa nostra uscita avesse avuto le tinte di una bucolica fuga nel verde, per alimentare le nostre smanie sportive o narcisistiche, probabilmente il simbolo in questione non sarebbe neanche stato notato mentre giaceva a terra. O, quantomeno, ci avrebbe visti indifferenti perché concentrati su tutt’altro come, forse, è stato per qualche altro escursionista che ci ha preceduto.
Davanti a tutto questo dobbiamo quindi ricordarci che lì dove un borghese trova una scusa, un Militante trova una strada. Solo così, infatti, è possibile stare al mondo, facendo della propria vita una Militia.