Continuiamo la nostra intervista all’atleta combattente, in collaborazione con Matteo
Colnago, autore dell’omonimo libro “L’atleta combattente” nonché sportivo e studioso poliedrico come già vi abbiamo presentato. Proseguendo il nostro cammino in questa nuova avventura, ormai divenuta appuntamento fisso, con la volontà e la speranza di creare soprattutto tra i più giovani un ulteriore segnale di rottura e di riconquista della vita. Insieme a Matteo, noi ragazzi di TNT – Studenti e Dinamite, stiamo portando avanti una
chiacchierata mensile per chiarire e rafforzare i punti della nostra lotta contro i falsi miti, le incertezze e le distorsioni che questo mondo genera attorno allo sport e alla sua potenzialità d’elevazione. Chiunque volesse contribuire con una domanda, può contattarci alla mail info.lamiccia@gmail.com.
D) Allora Matteo, sono mesi che la nostra intervista per scoprire “l’atleta combattente” colpisce a più riprese i falsi miti e i dubbi che si possono creare attorno al mondo dello sport. Il tuo libro poi farà il resto, però su una cosa vogliamo tornare: Il doping è ormai alla portata di tutti quelli che entrano in una palestra, interessati a modificare il loro aspetto fisico o a raggiungere dei “risultati”. Ragazzi e adulti ormai accettano queste sostanze, pur di vedersi migliori allo specchio e sentirsi più forti. Noi crediamo che anche queste sostanze rientrino nel malefico abbraccio della droga e che l’uso, che diviene velocemente abuso, sia l’idiota soluzione (chimera) di chi non vuole davvero sforzarsi e sacrificarsi per raggiungere i risultati che la natura gli può concedere. Come vedi questa piaga?
Appena terminato di leggere la domanda ho distolto lo sguardo dallo schermo del PC, volgendolo verso la finestra illuminata dal sole, restando per qualche secondo incantato come sempre dal riverbero di luce che penetra nella mia stanza. Ebbene vi chiederete: cosa c’entra tutto ciò con la domanda inerente al doping? Quel fascio di luce batte sulla libreria alle mie spalle quasi ad irradiare un costante segnale di monito all’attenzione, alla contemplazione ed alla sacra veglia.
RESTARE SVEGLI significa alimentare l’anima affinché possa raggiungere degli stati dell’essere che ci permettono di esistere mediante coscienza e sapienza, gerarchizzando appunto, come già ribadito precedentemente, i tre elementi che costituiscono l’essere umano: Spirito, Anima, Corpo. L’ultimo elemento, che risulta essere sul “podio”, ricopre l’ultima posizione non perché meno importante. Sia chiaro, esso è il primo fronte visibile di ogni persona, l’armatura di ogni essere umano, ma ciò che ha reso immortale l’esempio dei legionari romani non furono le loro armature ma la romanitas, la disciplina identificativa dello Spirito di Roma che nutriva l’anima forgiando le menti prima ancora di fabbricare armi.
Gli spartani vivevano il proprio corpo come una stella brilla nell’universo: lo spazio è il veicolo per irradiare la potenza dello Spirito, è il corpo che si sottomette alla volontà, non il contrario. Le Termopili sono ancor oggi avanguardia di coraggio, fede, onore, e questi elementi nascono dalla volontà – dal latino voluntas – che è forza interiore necessaria a compiere azioni esteriori, quindi grandezza dell’animo e non volume del corpo.

Mi sembra banale affermare che il doping è il cancro dello sport in quanto modifica con l’inganno le prestazioni fisiche degli atleti. Non voglio soffermarmi tanto sul perché queste sostanze rappresentano il male assoluto nel mondo sportivo. Gli aspetti etici e scientifici li conosciamo bene e senza entrare nello specifico chiudo questa parentesi dichiarando che in Italia il tasso di morte improvvisa o mali incurabili negli atleti si è alzato a dismisura. Allora viene da chiedersi: che attinenza c’è con il doping? …andate a leggere tutti gli effetti collaterali delle sostanze dopanti, poi sarete voi lettori a raccontarmi l’attinenza tra il doping e la morte.
Ma non è con il terrore o la repressione che si estirpa il doping: è necessario soffermarsi sulla condizione mentale che spinge a fare uso di queste sostanze. È fondamentale individuare la causa e il movente che spinge un ragazzo ad assumere delle sostanze dopanti, ma soprattutto quale alternativa proporre. Bisogna essere radicali e differenziati come l’atleta combattente, ovvero andare alla radice del problema per anticiparlo ed estirparlo. Causa e movente sono fedelmente collegati in quanto una rappresenta l’innesco e l’altro la combustione.
Per comprendere le cause vi propongo la seguente metafora: una mala pianta non si attorciglia mai ad un ciliegio in fiore ma ad un arbusto rinsecchito. Un ciliegio fiorito è sano perché pieno di linfa, nell’arbusto il suo interno è vuoto. Laddove c’è vuoto culturale e spirituale si offre terreno fertile al nemico, al nulla che avanza. Alimentando coscienza e sapienza irradiamo di linfa vitale il nostro spirito tenendo a bada tutti gli auto-sabotatori che noi stessi inneschiamo nelle nostre menti e che usiamo per costruire una falsa realtà da cui creiamo degli alibi attivando una reazione che si dimostrerà auto-lesionista (doping, droga, alcool, social network e dipendenze varie).
Pochi giorni fa ero in palestra, durante una pausa mi sono soffermato ad osservare il comportamento di alcuni ragazzi a fianco a me. I loro volti erano intrinsechi di ossessione mista a speranza mentre si osservavano allo specchio controllando compulsivamente le dimensioni dei loro muscoli gonfi di anabolizzanti. Ad un tratto uno dei ragazzi rivolgendosi all’amico, chiede con aria insoddisfatta: “Cosa fai questo weekend?” e l’altro “cosa devo fare? Niente, e tu invece?”. Il primo quindi risponde seccamente: “Nulla, come sempre”. Cosa dicevamo qualche riga più sopra? La mala pianta s’inerpica sugli arbusti vuoti!
Dove si è propagato allora il doping? In persone che attorno hanno il NULLA. Il doping lavora in questo modo: più il livello di autostima e quindi di consapevolezza è basso in noi, più tendiamo a costruire un mondo interiore perfettamente irreale ma che ci inibisce dalle sensazioni negative colmandole con altrettante sostanze negative a cui però attribuiamo un “valore” di comodo e non reale. Ansia, tristezza, senso di frustrazione, dolore, sofferenza, sono impropriamente chiamate emozioni negative; le definisco “impropriamente” perché, in realtà, possiedono un’utilità alla pari di quelle cosiddette “positive”.

Esse sono segnali importanti in quanto ci avvertono che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, ma nella nostra società tutto questo viene rimosso. Invece che imparare ad ascoltarle, percepirle e recepire i messaggi che ci stanno mandando, veniamo educati a sbarazzarcene immediatamente pretendendo di sostituire all’istante il disagio con qualcosa di segno contrario. Restare con l’emozione spiacevole, accettarla viene visto come una sconfitta quando invece attribuendo una giusta lettura cognitiva diventa il contrario!
Lavorare su se stessi, sulle insicurezze, sui disagi è sinonimo d’intelligenza oltre che di nobiltà d’animo, ma è più faticoso adoperarsi per migliorare lo spirito piuttosto che gonfiarsi i muscoli di nandrolone per nascondere le proprie paure dai pregiudizi altrui. Per questo vengono utilizzate sostanze dopanti nella speranza di tappare la falla che si presenta nella nostra personalità: vene gonfie di testosterone per creare un’immagine distorta di sé per autocompiacersi nella speranza di ritagliarsi un posto nel mondo, trincerandosi dietro un’armatura di cera.
Ritornando alle prime righe di questo racconto, provate ad immaginare quel fascio di luce che penetra dalla finestra e illumina i vostri libri e fotografie, quei tasselli intimi e personali che hanno contribuito ad illuminare la vostra crescita, che hanno spalancato le porte del vostro Spirito alla vastità della sapienza. Quella stessa luce che rappresenta la verità e che collega ogni angolo dell’universo ed ogni attimo della vostra vita. È la linfa nel tronco a far splendere i fiori sul ciliegio proprio perché in natura non esistono artifizi o trucchi meschini. È la formazione dello spirito, l’educazione al coraggio – cioè di mettersi in gioco sfruttando i venti favorevoli e accettando i venti contrari – la sapienza di accettare tutto come insegnamento ed esperienza e non come sventura. Avere la consapevolezza che la propria autostima si basa semplicemente su noi stessi perché siamo noi artefici della nostra vita, siamo noi che inneschiamo gli auto-sabotatori della nostra personalità solo perché sbagliamo strategia, e spetta a noi rimediare irradiando lo spirito di verità e non di facili ma scure e fatali scappatoie. Ci vogliono gli attributi, ci vuole coraggio – cor habeo – avere cuore, tutto parte sempre da lì, come dice Francois Bousquet nel saggio “CORAGGIO – Manuale di guerriglia culturale”:
«La verità è che coloro che iperafferanno così la loro onnipotenza di vene e muscoli gonfiati, non fanno altro che sottolineare un sentimento d’impotenza. Sono dei corpi-vetrina, dei corpi da esibire nei concorsi di bellezza, impacciati nei movimenti quanto quelli obesi, corpi che esagerano una mascolinità di cui non offrono simulacro. Queste contraffazioni della virilità non sono mai state virili. La virilità si mette alla prova sui campi di battaglia, in strada, nell’arena, nella dura lotta della vita, non nel bungee jumping né davanti ad uno specchio che rimanda a Narcisio l’immagine d’un toro furente, che, sa, nel fondo di sé stesso, di non essere altro che un bove impotente. Julius Evola paragonava certi corpi ipertrofici al corpo dei crostacei: duro all’esterno, molle all’interno, perché l’ipervirilità non fa che rimandare all’impervulnerabilità. Una constatazione che vale quanto una legge: l’uomo non è mai stato così poco coraggioso da quando parla tanto dei propri muscoli, della prostata, del suo pene, ma svincolata dalla virilità arcaica, sbarazzato dei peli pubici e liberato dalla sua violenza protettrice. Del resto, se il coraggio – ci si vergogna a ricordarlo – si limitasse al testosterone, le donne ne sarebbero universalmente prive. Orbene, il coraggio è indifferente maschile o femminile (dove collochiamo altrimenti il coraggio di Atena e di Antigone, quello di Giovanna d’Arco e di Carlotta Corday?). Nel coraggio, l’unico muscolo che non deve cedere è il cuore.»
Faticare, soffrire, provare dolore, stringere i denti fino all’ultima contrazione muscolare sono caratteristiche di un processo di trasformazione mediante il quale l’atleta diviene athlos ovvero colui che attraverso il sacrificio psico-fisico, mediante lo sforzo prova gioia nel migliorarsi mediante lo sport. Boicottare questi elementi significa anestetizzare la vita umana e quindi vivere vigliaccamente. E allora non ci resta che comportarci da Uomini senza mezzi termini, tirar fuori gli attributi, ripudiare la vigliaccheria chiamatasi doping e seguire con lucidità la via dello sforzo e del sacrificio, segnando ogni giorno un nuovo traguardo personale grazie alle proprie forze mentali, fisiche e soprattutto spirituali. Alle patetiche ed illusorie provocazioni del doping e dei suoi schiavi rispondiamo con un monito che incarna lo spirito dell’atleta combattente:
“NECESSARIO VINCERE, PIÙ NECESSARIO COMBATTERE”