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Massimo Morsello: un esempio da ascoltare

  • Articolo pubblicato:21 Aprile 2020
  • Categoria dell'articolo:Pensiero

In un tempo in cui gli uomini non contemplavano menzogna, falsità e profitto, la musica era la loro stessa voce, la loro lingua per la comunicazione fra gli esseri del creato. Col tempo, le divine armonie si sono trasformate insieme agli uomini, divenendo lo specchio del loro regresso verso stati spirituali sempre più grotteschi e caotici.
Come ci insegna il capitano Cornelio Zelea Codreanu: «Per poter cantare occorre uno stato particolare dell’anima, un’armonia interiore. Chi va a rubare non può cantare, nemmeno chi ha l’anima priva di fede. Sarà sempre il canto a stabilire il giusto criterio di orientamento.»
Nella contemporaneità, anche fra le fila della cosiddetta “destra”, nonostante gli slogan e i programmi politici, infiniti sono gli spiacevoli esempi di una realtà che ha tradito promesse, doveri e vocazioni per cedere il passo all’io.
Ma diverso è il caso di Massimo Morsello, “Massimino”, che della sua musica non ha fatto un’impresa economica, ma una sirena, per l’appello a quei ragazzi lasciati soli come cani randagi da chi illegittimamente ha creduto di poterli comandare, per raggiungere ben altri scopi, attraverso l’abuso di idee e simboli.

Vogliamo proporre quindi, oltre alla splendida armonia che Massimo Morsello estraeva con una castità brillante e una semplicità unica dalla sua chitarra, un’analisi o lettura del testo di “Dieci anni fa”. Il brano, composto nel 1990, inserito nel terzo demotape “Intolleranza”. Ascoltando il brano di cui ci accingiamo alla riflessione è possibile individuare a colpo d’occhio (e di orecchio) una divisione in tre “blocchi”, di seguito il testo:

“Ti ho lasciato qualcosa dentro, ti hanno visto alla frontiera
Salutare la tua vita sventolando la mia bandiera
Ed ai due lati della ferrovia cento milioni di giovani a guardare
Come se non avessi più cose da dire, solo cose da dare
Dieci anni fa non era diverso, generazione senza rimorso
Si chiedevano il mare, si chiedevano il sole dove fossero andati a finire?

Attenzione alle imitazioni, chi esprime le strategie per il potere
A chi è seduto a convincerti che il tuo sogno sia messo a sedere
E la vita li smentisce, la vita li schiaffeggia
La guerra ti dichiara la pace mentre il cielo ti dichiara la pioggia
Il tuo impegno oggi è diverso, generazione senza un trascorso
Si chiedono come, si chiedono dove tutti gli altri sono andati a finire?

E nessuno che vi dica, che vi dica degli inganni
Della gente che ci vende e che ci compra da anni
E nessuno che vi dica, nessuno che vi guidi
E nessuno che vi abbaia alle orecchie per rimettervi in piedi
E dieci anni fa non era diverso, generazione senza un percorso
Si chiedevano come, si chiedevano dove, dove tutti quanti saremmo andati a finire?”

Ciò che va subito detto, per fare chiarezza, è che la persona vista alla frontiera è una persona che rappresenta una generazione anni ’80 che è quella senza un trascorso la cui vicenda viene confrontata con la vicenda della generazione degli anni ’70, quella di Massimo, cioè la “generazione senza un percorso” per fare un parallelo impietoso di ambienti lasciati a loro stessi.
Questa canzone, non a caso, è fortemente associata a “intolleranza” che tratta dello stesso tema da un altro punto di vista.

Ed andiamo quindi con ordine a “Generazione senza rimorso“. Nella prima strofa il cantautore si riferisce ai reduci di una pagina gloriosa della storia Italiana, “una pagina (come dirà in seguito in un suo successivo lavoro) strappata dal grande libro della storia”. Poche righe, ma un’immagine forte: cento milioni di giovani eroi, senza rimorso, senza più la loro stella polare, senza più una guida che faceva mettere loro in discussione, ragazzi che si chiesero da un momento all’altro dove il mare, il sole fossero andati a finire, appunto.

Passando poi a “Generazione senza un trascorso“. La seconda strofa di Massimo Morsello sembra dedicarla ai suoi camerati, a tutti quei ragazzi che hanno vissuto gli anni di piombo, che, con innocenza e ardore nel cuore, hanno combattuto senza tregua, ma troppo spesso, sono stati ingannati, traditi, scoprendo di essere stati solo tristi pezzi di un puzzle costruito da “strategie di potere”. “E si chiedono come, e si chiedono dove tutti gli altri sono andati a finire?” in quell’inutile bagno di sangue che ha illuso e ha spento troppo presto le fiamme di giovani eroi.

Generazione senza un percorso“. Quasi come un grido disperato ora la canzone è direttamente rivolta ai più giovani, alle nuove fiaccole che non hanno sofferto il piombo, ma soffrono il disorientamento, la paura, i compromessi ed i tradimenti di un ambiente che dovrebbe forgiarli, sostenerli, guidarli e riprenderli, appunto come quei “cani che abbaiano alle orecchie” che vengono cantati, per “rimettere piedi”.
“E dieci anni fa non era diverso”. Questo verso, dal sapore malinconico, ci riporta alla durezza della nostra vita, alle difficoltà che durante la scalata ci spezzano le gambe; il passare inesorabile del tempo non muta la fragilità dell’uomo, del suo tener fermo. A dieci anni da quel 1980 in cui Massimo Morsello salutò l’Italia per via della (ingiusta) tempesta giuridica che stava mietendo vittime innocenti, la situazione che lasciò non era cambiata e ci sentiamo di dire che ancora oggi è rimasta invariata.
E così “Si chiedevano come, si chiedevano dove tutti quanti saremmo andati a finire?”. Un quesito assordante per lo stesso Massimo Massimo ed attuale per noi.